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Pesce e noci non salvano la mente

Pesce e noci non salvano la mente
Secondo uno studio di Neurology non c’è alcuna relazione tra il declino cognitivo dell’anziano e i livelli nel sangue di acido docosaesaenoico (Dha) ed eicosapentaenoico (Epa). Dice Eric Ammann, ricercatore della University of Iowa di Iowa City, e coautore dell’articolo: «L’invecchiamento cognitivo è il lento e progressivo deterioramento cerebrale che si verifica in un adulto anziano normale, dovuto all’invecchiamento dei tessuti legato all’età e alla riduzione di volume e vascolarizzazione cerebrale». Il declino varia notevolmente tra gli individui, supportando il ruolo protettivo di fattori modificabili come l'esercizio fisico, l’attività sociale e l’alimentazione. «Non solo pesce e noci possono essere sane alternative alla carne rossa e ai prodotti lattiero-caseari ricchi di grassi saturi, ma l’aggiunta alla dieta di acidi grassi polinsaturi (Pufa), di cui questi alimenti sono ricchi, è stata proposta come possibile intervento per prevenire o ritardare il declino cognitivo dell’anziano» riprende Ammann, specificando i diversi meccanismi con cui i Pufa, e in particolare i Dha ed Epa, potrebbero rallentare il declino cognitivo. «Non solo il Dha è un importante componente strutturale del tessuto cerebrale coinvolto nei processi di neurotrasmissione sinaptica, ma Dha ed Epa potrebbero ridurre il rischio di demenza vascolare abbassando i trigliceridi e la pressione arteriosa». Sulla base di queste osservazioni i ricercatori statunitensi hanno ipotizzato che livelli elevati di Epa e Dha abbiano un effetto protettivo sulle prestazioni cognitive nelle donne anziane in postmenopausa. Lo studio ha coinvolto 2.157 donne tra 65 e 80 anni arruolate nei trial clinici sulla terapia ormonale della Women’s Health Iniziative, sottoposte sia a test cognitivi annuali per una media di sei anni consecutivi sia a prelievi ematici per misurare la quantità di Pufa. E i dati raccolti dimostrano la mancanza di qualsiasi associazione tra livelli omega-3 e funzione cognitiva, almeno nella popolazione oggetto dello studio.
Neurology 2013; 81:1–8

 
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