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Cancro ad alto rischio: bene prostatectomia radicale

Nel cancro ad alto rischio bene la prostatectomia radicale
Sopravvivenza a lungo termine dopo prostatectomia radicale versus radioterapia. I risultati dello studio, pubblicati su Cancer, non sono conclusivi, come sottolinea l’editoriale a commento, ma i dati raccolti aiutano a costruire un piano terapeutico
È ancora presto per trarre conclusioni definitive: i clinici devono continuare l'esplorazione di opzioni multimodali per il trattamento dei pazienti con cancro prostatico ad alto rischio. Intanto, però, si registra l'acquisizione di nuovi dati sulla sopravvivenza a lungo termine di pazienti con il tumore ad alto rischio trattati con la prostatectomia radicale retropubica (Rrp) versus pazienti avviati a radioterapia a fasci esterni (Ebrt). Lo studio, pubblicato su Cancer (2011; 117; 2883-2891) e firmato da Stephen Boorjian, Memorial Sloan-Kettering cancer center, New York, e collaboratori, ha esaminato due ampi database comprendenti pazienti con tumore prostatico ad alto rischio trattati con radioterapia esterna (Xrt) o Rrp per determinare quale dei due approcci garantisca i migliori risultati.
Il primo dato emerso dall'indagine è che l'effetto di Rrp è comparabile a quello di Ebrt da sola o in combinazione con la deprivazione di androgeni (Ebrt + Adt) in termini di rischio di progressione sistemica. Per quanto concerne la mortalità specifica per il cancro, Rrp e Ebrt + Adt appaiono equivalenti con un trend che suggerisce outcomes peggiori a carico di Ebrt da sola, un dato comunque non statisticamente significativo. Inoltre, dopo aver preso in considerazione fattori quali le comorbidità, l'età e altri fattori clinici, gli autori riportano un aumento della sopravvivenza globale nei pazienti trattati con Rrp rispetto a Ebrt o Ebrt + Adt. Tra i punti di forza dello studio l'impiego della classificazione del National comprehensive cancer network (Nccn) per la definizione del cancro prostatico ad alto rischio. «Molti studi precedenti» commenta al riguardo Jeffrey M. Holzbeierlein dell'ospedale universitario di Kansas City in un editoriale sullo stesso numero della rivista «sono incorsi in risultati confliggenti proprio a causa delle differenze nei criteri utilizzati per la definizione di questa condizione clinica». Nel caso dei criteri Nccn si parla di alto rischio in presenza di un punteggio Gleason 8-10, categoria clinica pari ad almeno T3, o livello di Psa >20 ng/mL.
Lo studio comunque non è privo di limitazioni come la mancanza di standardizzazione della prostatectomia e della dissezione linfonodale. «Ciononostante» continua l'editorialista «il lavoro di Boorjian dimostra che, dopo il confronto con Ebrt + Adt, la Rrp può essere un trattamento efficace per il cancro prostatico ad alto rischio. Tuttavia, va enfatizzato il fatto che raramente la monoterapia con Rrp è curativa. Nello studio in questione più del 60% degli uomini trattati con Rrp ha ricevuto una terapia addizionale, adiuvante o di salvataggio». Si nota, inoltre, una notevole differenza nel numero di pazienti che hanno ricevuto Adt addizionale dopo il trattamento iniziale: Adt è stata instaurata nel 40% degli uomini dopo Rrp versus il 16,6% degli uomini trattati in prima battuta con Ebrt e Adt.
A questo punto, conclude Holzbeierlein, si dovrebbe procedere all'esecuzione di uno studio prospettico randomizzato che valuti, nel cancro prostatico ad alto rischio, la Rrp versus Ebrt + Adt nell'ambito della terapia multimodale: se equivalenti, il successivo step dovrebbe focalizzarsi sugli effetti collaterali e sulla qualità di vita.
Cancer, 2011; 117; 2830-2832



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