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LA DIAGNOSI INFAUSTA

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COMUNICAZIONE DIAGNOSI INFAUSTA

Nella ricerca della comunicazione della diagnosi infausta che è sempre difficile per il medico di medicina generale, ho trovato alcune parole chiavi da memorizzare prima di affrontare il problema:
1. Informare sempre e quanto informare (bisogna sempre informare il paziente del problema che ha ? Oppure solo in alcuni casi? Bisogna dire tutto? Oppure solo alcune cose?).
2. Imparare cosa significa prognosi (per i medici è sempre difficile parlare di prognosi, perché è necessario avere uno studio di pazienti con quella stessa malattia).
3. Imparare a parlare non di attesa di vita, che nella medicina generale non ha significato, ma di probabilità di guarigione (possiamo studiare la probabilità di guarigione e non quella di sopravvivenza)
4. Non fare soffrire il paziente
5. Rispettare il principio di autonomia del paziente
(qui si capisce quanto si può dire al paziente : se il paziente è un pensionato non ha grossi cambiamenti della sua vita allora si può dire poco, mentre se il paziente è responsabile di un'azienda e deve farsi sostituire è necessario dire un po' di più e fare valere il principio di autonomia del paziente, cioè deve decidere del proprio futuro)
6. Non inculcare al paziente l'angoscia della ricaduta (dobbiamo imparare a dire al paziente, quando si avvera, che è guarito)
7. Concetto di guarigione (imparare a parlare in termini probabilistici)
8. Non alterare i meccanismi di difesa del paziente (arrivare a una decisione clinica condivisa)

E' giusto o sbagliato informare sempre il paziente che presto morirà e che la medicina non è risolutiva per lui?  In passato oltre a non comunicare la prognosi non si comunicava neanche la diagnosi (oggi non è più così, ma in Italia sembra esserci ancora una prassi di non informazione).

Il problema non è se informare, ma quanto informare.
La prognosi è il tentativo del medico di prevedere su basi razionali il futuro del paziente per una corretta decisione terapeutica. In medicina generale purtroppo non abbiamo una metodologia standardizzata per la prognosi per difficoltà nel formularla e per possibili errori.  
Osservando  due curve di sopravvivenza e guarigione (A e B): nella curva B a 5 anni sopravviene ancora il 30% dei pazienti, mentre la curva A ha una prognosi più infausta, infatti a 5 anni dalla malattia sopravviene praticamente nessun paziente. Gli studi spesso parlano della mediana, cioè il 50% dei pazienti che sopravvivono, però voi capite che parlare di curva mediana non ha significato perché in questo caso il 50%sopravvive a 2 anni, mentre se la curva fosse più bassa il 50% sarebbe sopravvissuto a 6 mesi; quindi è sempre meglio esprimersi non in tempi di sopravvivenza (spesso i i pazienti dicono quanto ho ancora da vivere) ma sulla probabilità di guarigione. Oggi nei campi dei tumori, sapete benissimo che, la probabilità di guarigione è aumentata e quindi non è sempre corretto dire al paziente che non guarirà mai perché può anche guarire, però nel caso limite del paziente terminale che ha ancora 3 mesi di vita sembra accettato da tutti che il medico di medicina generale potrebbe decidere di non dire niente. Quindi nelle prognosi brevi è concesso non informare, mentre in quelle a medio-lungo termine il discorso è diverso in quanto il limite di dire una prognosi è quello di non dare mai una prognosi, perché possiamo andare incontro agli errori delle curve di sopravvivenza, a meno che non siamo certi che per quella determinata patologia c'è una curva di sopravvivenza specifica studiata a 5 anni; ma anche così siamo sicuri che il paziente farà parte di quelli completamente guariti?  Mi ripeto, non quantificare la durata della sopravvivenza, ma la probabilità di guarigione. Le ragioni per non informare sono rappresentate dal non far soffrire il paziente anzitempo (regola antica della medicina).  Se il medico di medicina generale non informa il paziente non potrà prendere decisioni consapevoli del proprio futuro (soprattutto per i pazienti che hanno grosse responsabilità sul posto del lavoro).  L'evoluzione culturale della medicina contemporanea nei Paesi Industrializzati si è decisamente indirizzata verso il rispetto del principio di autonomia del paziente. Si informa maggiormente nel Nord America e nel Nord Europa, mentre nel Sud Europa e Mediterraneo la volontà di informare è meno decisa. Esistono controversie legali. In questi anni è diminuito il sostegno della famiglia ( che si nasce in ospedale e si muore in ospedale). Tutto quanto detto prima sulla relazione medico/paziente (agenda del paziente, approfondimento del suo carattere, ecc.) fa migliorare la comunicazione  (il paziente accetta meglio se comunica bene,  se comunica male si arriva alla verità cruda dove ci possono essere delle percentuali di suicidio).  Non bisogna fornire la fredda verità della prognosi,  ma fornire una impressione veritiera della prognosi.  Ogni nostro discorso su eventi futuri dovrebbe essere formulato in termini probabilistici.  Non bisogna comunicare l'incertezza della prognosi perché il paziente ha già tante incertezze e pertanto non dobbiamo aggiungerne altre. Non bisogna esprimersi mai in termini di malattia incurabile perché il cancro è una malattia curabile dai medici di medicina generale,  non è guaribile ma è curabile). E' più corretto esprimersi in termini di neoformazione. Gli oncologi non riescono a definire il concetto di guarigione,  solo dopo la morte riescono a definire che il paziente è deceduto per altra causa e che quindi non ha avuto recidive del tumore. Non facciamo cadere i pazienti nell'angoscia costante della ricaduta della malattia. Bisogna imparare a parlare e a ragionare un linguaggio probabilistico.

Concludendo:
1. Rispettare l'autonomia del paziente ;
2. Informare solo se il paziente vuole sapere (il medico dirà … il paziente chiederà … il medico spiegherà);
3. Il paziente sceglierà lui ciò che vuole sapere per mantenere intatti i meccanismi di difesa che si attivano in     situazioni critiche ;
4. Non uccidere il meccanismo di difesa;
5. Sostenere nel paziente la volontà nel guarire;
6. Nel paziente terminale  (concetto se informare o meno)  posso decidere di non informare, mentre nelle altre situazioni bisogna porsi il problema di come  informare, sempre;
7. Non ci sarà decisione clinica se non vi sarà una informazione sufficientemente completa;
8. Futuro
- studiare i nuovi metodi clinici atti a tradurre la prognosi inedita in una informazione ben comprensibile dal paziente sul piano umano e nuovi modi per coinvolgere il paziente nella decisione clinica in modo che questa rifletta la sua volontà effettiva.


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